Stupido uomo, ci credi ora?

Non ho potuto utilizzare il film e le foto del viaggio in Sud Sudan, poiché il Colonnello Lagu mi rimandò il materiale alla fine del 1971, poco tempo prima della pace di Addis Abeba, avvenuta nel 1972. “Pizze”, foto e diapositive erano state sviluppate e fatte visionare al Colonnello Lagu. Il materiale ritornato tramite il “Professore” era in buone condizioni, salvo che per un certo numero di diapositive, rovinate da muffe tropicali. Ho potuto fare solo il montaggio per un cortometraggio, ma la cessazione delle ostilità nel Sud bloccò ogni iniziativa cinematografica.

Pure a livello di informazione tramite i “media” il mio viaggio era stato inutile. Rita aveva organizzato un incontro con la stampa. I giornalisti avevano fatto domande, avevano preso appunti, ma nulla era stato scritto.

Beppe Venosta di “Panorama” aveva scritto una intervista sul viaggio, ma il direttore del settimanale aveva preferito riportare un servizio della corrispondente testata francese, citando il mio nome solo al termine dell’articolo.

Ero stato pure a “Paese Sera, organo del PCI insieme all’”Unità”. Il Compagno della pagina estera mise solo cinque righe di un attacco guerrigliero, molto mortificato dal fatto che l’ordine del Partito era di non pubblicare nulla sul Sud Sudan, in quanto il Sudan era nella sfera di influenza dell’Unione Sovietica. I Compagni giornalisti sapevano tutto del genocidio del Sud, ma erano costretti a tacere. 

Con la pace, anche in Italia tutto si fermò. Pure i contatti con i membri del Fronte cessarono. Di lì a poco “Spedizione Italia-Sud Sudan” avrebbe chiuso i battenti.

I giovani si erano assottigliati di mese in mese, fino a non avere più alcuno che preparasse i pacchi. Anche molti dei gruppi nazionali cominciarono a disinteressarsi all’attività di propaganda e di aiuto: tanto, ormai, era “scoppiata” la pace…

Faceva eccezione il gruppo genovese “Comitato Sud Sudandi Maria Sander (nella foto è insieme a Raul Follereau, il fondatore di “Amici dei Lebbrosi”), che aveva continuato con gli aiuti, pure perché era già un gruppo organizzato per gli aiuti al Terzo Mondo. Il Comitato è stato il primo ad organizzare nel settembre 1971 una raccolta differenziata di materiali riciclabili, sotto la responsabilità di Claudio Cimmino, in un campo di lavoro nazionale presso l’Istituto Colasanzio, messo a disposizione dei Padri Scolopi.  (Foto 141Un automezzo del Comitato con l’attivista Piero Marchetti).

 

Nel CALAM (Comunità Aiuti ai Lebbrosi ed Affamati nel Mondo) di Genova,  oggi continua a dedicarsi sua figlia Sonia Sander (nella foto è insieme al fidanzato, oggi marito, Claudio Cimmino, nel 1971), che all’epoca della nostra lotta aveva sedici anni.

Mi piace ricordare alcuni giovani che furono di grande aiuto politico e per le pubbliche relazioni a favore del Sud Sudan. Esso erano: Gianni Keck di Torino, Giuseppe Torre di Genova, Franco Levi, Anna Manca, Enrico Parenti di Milano, Vincenzo Luciani di Bologna e Daniela – “Dani”- Tognetti di Torino, per le traduzioni. Né voglio dimenticare il parroco di Fossato di Vico (Perugia), monsignor Antonio Berardi, direttore e redattore unico del settimanale “La Voce”.

Ho continuato ad avere rari contatti con il “Professore”, che mi aggiornava sulla situazione sud sudanese, fino alla sua morte avvenuta nel 1994. Avevo avuto ancora qualche contatto con il “Bianco”, la cui morte avvenne nel 1999.

  1. B. (di cui non posso rivelare le generalità, in quanto ha in Italia una moglie ed una figlia, probabilmente ambedue ancora in vita) era rimasto per qualche mese in seno al comitato romano, fino a quando non si accorse che era stato scoperto e che veniva utilizzato per passare notizie false. Il “Professore” mi disse che J. B. aveva cominciato a bere. Poi era tornato nel Sudan e si era rimesso in una buona forma psicofisica.  Non so che fine abbia fatto. Non è che mi interessi molto. Non ho mai provato astio nei suoi confronti. Infatti, quando lo incontravo lo abbracciavo con lo stesso calore di prima. Solo che lui era stato il  traditore che aveva attentato alla mia vita. Lo ricordo molto alto, bello di volto, distinto e simpatico.

William Renzi Tembura, divenuto medico, iniziò ad esercitare a Wau, dove poi è deceduto prematuramente. Non so se dalla moglie italiana abbia avuto figli. Aveva già avuto una figlia da Judy Magaya, sua prima fidanzata,  anch’essa oggi defunta. Era una carissima ragazza sud sudanese a cui la mia famiglia era molto affezionata. Billy aveva affidato a sua madre la bambina avuta da Judy.

Pure, René Dol ci aveva lasciato. La notizia mi era stata data dal “Professore”. René mi aveva contattato in occasione del ricevimento da parte del Cardinale Rugambwa, per conto della Santa Sede, dell’Ordine di San Gregorio il Grande, nel 1972. Era stata consacrata la “Chiesa di Nostra Signora di Mulago e di Santa Teresa di Gesù”, che René aveva fatto costruire per la “gloria di Dio e in memoria della moglie Teresa Dol”, e di cui Papa Paolo VI aveva posto la prima pietra durante lo storico viaggio apostolico in Uganda. René era già dal 1965 Cavaliere dell’Ordine del Merito Nazionale, concesso dal Governo francese, per i meriti guadagnati come console francese in Uganda. L’ultima volta che René mi scrisse fu per comunicarmi che il 10 giugno 1973 era stato ordinato sacerdote nella Cattedrale di Rubaga a Kampala.

Hanno pure lasciato il piano fisico monsignor Edoardo Mason, padre Renato Bresciani, padre Adriano Bonfanti, e padre Vittorino Dellagiacoma, comboniani espulsi dal Sud Sudan che avevano continuato a lavorare per i profughi sud sudanesi e per la causa del Sud Sudan, pur con le dovute cautele consigliate dalla politica vaticana e dall’ordine comboniano che aveva missioni nel Nord Sudan.

 

Cosa mi aveva lasciato il viaggio a livello psicofisico? Per un paio di mesi avevo continuato con l’enterocolite. Per la sete patita, avevo iniziato ad avere il “culto” dell’acqua. Tra l’altro, non ho tirato per diversi anni lo sciacquone per le semplici urine, pur di non sprecare l’acqua nel water.

Per anni, con il caldo e con il sole dell’estate, mi veniva la febbre, che mi facevo passare con bagni tiepidi.

Inoltre, per una registrazione nell’inconscio, avvenuta in un momento di forte attenuazione della mente analitica a causa  dello stato febbricitante in cui ero – registrazione  secondo cui le armi significavano “sicurezza e salvezza” – quando rimanevo da solo in casa, per  addormentarmi, tiravo fuori le pistole e la carabina che avevo in dotazione e le caricavo. Solo così riuscivo poi a prendere sonno. L’ho fatto per una decina d’anni.

Per anni ho pianto la perdita di Ferdinando, firmando i quadri che dipingevo con il pseudonimo di “Goi” e scrivendo dietro al dipinto che lo dedicavo in memoria di Ferdinando Goi, maggiore dei guerriglieri Anya-Nya del Southern Sudan Liberation Front, morto a Gulu (Uganda) il 9 novembre 1970. C’è chi scambiava la firma “Goi” per il Grande Oriente d’Italia, prendendomi per massone.

 

Da Internet, ho notizie dei personaggi storici del Fronte.

L’ex-presidente dell’ex-Azania Liberation Front, Joseph Oduho, nato nel 1929, era stato assassinato nel 1993, a causa delle lotte intestine del Fronte (Foto 143 – Joseph Oduho, con Giorgio Rapanelli dell’Azania Liberation Front ALF, la prof. Silvana, rappresentante dell’ALF presso gli universitari di Padova e il prof. Giorgio Giorgi, del Centro Rivoluzionario Socialista per la Libertà dell’Azania, a Roma nel 1967).

 

Pure il comunista Joseph Garang, già ex-ministro degli Affari del Sud nel Governo Sudanese era stato impiccato nel 1971 con l’accusa di aver partecipato al colpo di Stato contro il Presidente El Nimeiry.

Il colonnello Joseph Lagu dovrebbe vivere ancora, forse a Londra. Qualche tempo dopo la pace di Addis Abeba erano ricominciate le ostilità del Fronte verso il Nord Sudan. Lagu aveva continuato a scrivermi perché voleva che ritornassi da lui per un “safari” sulla guerriglia … Evidentemente, ormai non temeva più gli “occhi indiscreti” …

Lagu aveva fondato il “Sudan People’s Liberation Army, lo SPLA, insieme a John Garang, diventandone vice presidente, per poi fondare – successivamente –  col grado di  “Generale”  il Southern Sudan Liberation Movement, lo SSLM.

John Garang, che aveva abbandonato l’esercito del governo di Khartoum, iniziò la guerriglia nel 1983, diventando capo assoluto dello SPLA, fino alla vittoria del Fronte. E’ morto  nel 2005 in un  incidente aereo, forse per un attentato. Gli è succeduto il suo vice Salva Kirr Mayardit, il cui nome mai avevo sentito nominare durante gli anni della mia lotta.

Sempre sul sito Internet del Sud Sudan e di John Garang si possono vedere i filmati dei guerriglieri Anya-Nya. C’è il filmato di una parata di guerriglieri in divisa, tutti armati di Kalashnikov e con mitragliatrici pesanti antiaeree montate su carri, con un carro armato e con camion da trasporto. Mi riferiscono che quelle armi moderne in mano Anya-Nya provenivano da stock ucraini  e bielorussi, acquistati dallo SPLA attraverso la triangolazione del Kenya e dell’Uganda. Queste notizie mi sono pervenute dall’Uganda.

Se nel 1970 gli Anya-Nya avessero avuto tutte quelle armi, nel giro di tre mesi avrebbero liberato l’intero territorio del Sud Sudan, che già controllavano  per l’80 per cento.

 

Quale sarà il futuro del Sud Sudan?

Credo che le divisioni tribali esistano ancora e con esse le divisioni politiche. Forse è un “karma” che quelle popolazioni devono pagare. Inoltre, i politici sud sudanesi hanno cominciato a svendere le risorse della loro gente, come ogni politico africano che si rispetti. La colpa di questo andazzo è la corruzione che i governi occidentali esercitano sui governanti africani per tenerli in pugno. E le popolazioni prive di prospettive sono costrette ad emigrare, invadendo l’Italia e l’Europa.

E’ impensabile che le contrapposizioni politiche esterne tra le nazioni non abbiano ripercussioni all’ interno del Sud Sudan, soprattutto a causa del petrolio scoperto ai confini a  nord del Sud Sudan e le ricchezze minerarie che – si diceva – fossero nelle zone confinanti con lo Zaire. Senza contare il ruolo centrale del Sud nello scacchiere africano tra il nord arabo e il restante dell’Africa Nera.

Fulvio Beltrami, un “operatore umanitario” e giornalista “free lance” (vedere siti web www.reset-italia.net, www.fabionews.info , www.dillinger.it , www.puntocritico.net) che vive in Uganda, ha scritto recentemente sul suo sito web che nel Sud Sudan le cose per la pace  non vanno per niente bene. Gli fa eco, sempre sul sito, Rita Ehrhardt che ricorda che questi contrasti tribali erano già stati messi in conto quaranta anni fa dai gruppi italiani amici del Sud Sudan. Che bello sapere che la dolce e cara Rita è ancora tra noi …

Fulvio Beltrami ha iniziato nel 1994 a lavorare nella cooperazione, prima come volontario per due anni in India, poi come logista in Sud Sudan, regionale del Bahr El Ghazal, città di Akot, e successivamente in Somalia.

Ha svolto per varie ONG italiane e straniere il lavoro come logista, amministratore e capo progetti in vari Paesi dell’Africa e in alcuni paesi asiatici, come la Corea del Nord e lo Skrilanka. Negli ultimi tre anni è diventato consulente per la riorganizzazione della logistica, amministrazione e scrittura progetti, auditing finanziari interno o esterni per varie ONG e ditte in Africa.

E’ sposato con una donna congolese e ha due figli maschi. Vive con la famiglia a Kampala, Uganda.   Fulvio Beltrami, da diverso tempo, denuncia una balcanizzazione di vari Stati africani. In effetti, egli rileva – ad esempio – che non sarà possibile tenere per lungo tempo uno stato vasto come il Congo-Zaire, con 250 etnie tribali, nei confini disegnati dai vecchi colonialisti. Di questi tempi è la storia del confini colonialisti della Libia, dove le tribù della Cirenaica si sono ribellate al potere centrale della Tripolitania di Gheddafi. Storicamente sono state sempre nemiche, tenute in pace dai colonialisti italiani, prima, e successivamente dal regime di Gheddafi.

Un fenomeno simile avverrà in Europa, dove esiste un Federazione di Stati, quando doveva essere fatta una Federazione di Popolazioni. Prima o poi, pure l’impero rosso materialista cinese si sfascerà, poiché molte popolazioni annesse con la forza, non solo quella tibetana, vorranno dividersi da quel regime dittatoriale, criminale e sanguinario per riprendersi i loro destini, le loro culture, le loro religioni e tradizioni.

   Quando gli Occidentali raccontano delle ribellioni delle masse musulmane oppresse da poteri dittatoriali di questo o quel rais raccontano una realtà inesatta. Il termine “democrazia” non esiste nel vocabolario musulmano.  Le lotte sono generalmente tribali e religiose (tipo quelle tra Sunniti e Sciiti) e vengono fatte non per imporre una democrazia liberale, concetto così caro alle orecchie dei politici democratici e della Sinistra, quanto di cambiare un califfo, un emiro, o un visir con un altro, rimanendo, però, sempre sotto i dettami del Corano.

   Temiamo che il Sud Sudan indipendente possa durare poco e che prima o poi inizi una guerra tribale per dividere il nuovo territorio, magari con lo zampino di Khartoum, o degli USA, dell’Uganda, dei Cinesi e degli Occidentali.

   Se si osserva la cartina si vede di quante popolazioni diverse tra loro per usi, costumi e lingue  il Sud è composto.

   Esistono tribù che si trovano, ad esempio, in Uganda e nel Sud Sudan, come gli Acholi, i Lotuko, i Madi, i Kakua, i Bari, e che furono divise dagli Inglesi colonialisti. E che magari vorrebbero riunirsi in nome del diritto delle popolazioni a volersi considerare come una unità etnica e culturale. Questo stato tribale “diviso” ebbe, però, un risvolto importantissimo per gli aiuti provenienti dalle stesse tribù in Uganda al la “resistenza” sud sudanese.

   Pero, oggi ci domandiamo: per quanto tempo, nel nuovo Sud Sudan, tribù numericamente forti e con vasto territorio come i Nuer dell’Upper Nile (Alto Nilo), degli Azande, dei Lotuko, dei Bari e degli Acholi dell’Equatoria, sopporteranno di avere come capo il denka Salva Kirr?

   All’epoca della nostra lotta – come si può vedere dalla cartina – consideravamo il Sud come formato da tre Stati confederati: lo Stato del Bahr El Ghazal a Nord Ovest, con capitale Wau, lo Stato dell’Upper Nile a Nord Est, con capitale Malakal e lo Stato dell’Equatoria a Sud, con capitale Juba, in cui ci fosse pure il Parlamento federale. L’estensione dei territori sarebbe stata così bilanciata e le etnie in qualche modo  rispettate.

   Fulvio Beltrami mi scrive che io rimango forse l’unico testimone del primo periodo della guerra Anya-Nya di Liberazione, quella che va dal 1955 al 1972. Effettivamente, ho un certo numero di documenti del fronte e di lettere di esponenti politici e militari, di cui copia ne avevano sia Mira Belaicich, che “Il Professore”. Ambedue deceduti, non so dove i loro archivi siano finiti, o se siano stati distrutti. Credo che dovrò mettere ordine nei miei archivi e registrare sul computer i documenti e le lettere più importanti.

   Mi sto rendendo conto che il resoconto del mio viaggio personale si arricchisce della Storia di popolazioni coraggiosissime che non si sono piegate alla politica oppressiva e sanguinaria del governo musulmano di Khartoum.

 

Pure Mario Lizza, il responsabile del gruppo romano, ha risposto ad una mia mail. Dopo il 1972 lo avevo perso di vista. Mi fa sapere che ha lavorato per 38 anni nel Servizio Sanitario Nazionale, un servizio civile con i disabili di Capodarco di Fermo, nel manicomio di Trieste con Basaglia e nella cooperazione internazionale. In Burkina Faso ha realizzato con un gruppo umanitario un pozzo, un dispensario medico, sala operatoria, scuola e pannelli fotovoltaici per l’elettricità. Buon sangue non mente…

 

Ho continuato ad avere rari contatti con il “Professore”, che mi aggiornava sulla situazione sud sudanese, fino alla sua morte avvenuta nel 1994. Avevo avuto ancora qualche contatto con il “Bianco”, la cui morte avvenne nel 1999.

 

L’instabilità politica del Sud è causata dal tradimento del progetto politico di John Garang che prevedeva una federazione tra Nord e Sud. Il tradimento è avvenuto  all’interno del SPLM (Sudan People’s Liberation Movement), il partito politico del SPLA, su pressione USA e con l’appoggio tacito di estremisti islamici all’interno del Governo di Khartoum. Questi accordi sottobanco tra governo USA ed estremismo islamico ci vogliono dire qualcosa pure in merito alla politica USA nei paesi islamici del Mediterraneo?

Auguro al Sud che i governi mondiali limitino gli egoismi nazionali e considerino concretamente il diritto all’indipendenza per le popolazioni sud sudanesi. Quale sarà il ruolo che giocheranno le chiese cristiane, in particolare l’Ordine dei Missionari Comboniani, legato da sempre a quelle popolazioni bisognose di tutto?

 

Il mio pensiero va a coloro che non sono più sul piano fisico. L’ultima morte per il Sud all’età di 65 anni è  stata quella di Funda Zebedeo Dominic. Lo conobbi a Genova quaranta anni fa, dove studiava all’Università per la Laurea in Scienze Politiche e dove aiutava il gruppo “Comitato Sud Sudan” – Genova-Pegli di Maria Sander. Successivamente, conseguì un diploma in amministrazione pubblica all’Università di Manchester. Poi, una baccalaurea in Teologia e Filosofia a Roma. Conosceva l’Inglese, il Francese, l’Italiano, il Latino, l’Arabo e 7 dialetti del Sud Sudan.

Lavorava all’Università dell’Ontario Occidentale, in Canada. Inoltre, era stato Alto Commissario dell’ONU per l’Aiuto ai Rifugiati.

Aveva fatto sempre politica per aiutare il suo Sud. Era stato pure membro del Parlamento per il Sud Sudan a Juba.

Era già stato imprigionato a Khartoum nel 1980.

Funda era sposato ed aveva avuto dieci figli.

Funda era ritornato un anno fa a Genova da Sonia Sander per preparare progetti per il Sud. Con l’occasione mi aveva contattato telefonicamente per chiedermi di unirmi a quei progetti. Avevo risposto che ormai i gruppi italiani non esistevano più da anni e che l’unica cosa era di andare nei luoghi del potere politico italiano per il fatto che con l’Indipendenza il Sud Sudan era diventato un soggetto politico. Ci eravamo riproposti un successivo contatto.

Egli, nel frattempo, era ritornato nel Sud. In aprile del 2010 era stato imprigionato a Yei da un gruppo militare dello SPLA. Derubato dei fondi del suo partito e percosso duramente, non si era più ripreso fisicamente, decedendo il 9 agosto 2010 in un ospedale di Kartoum.

Ormai, il caro Funda fa parte dei tanti che si sono battuti per la loro terra. Ho i volti di alcuni davanti che avevo incontrato e i nomi dei tanti capi del Fronte che mi scrivevano chiedendo aiuto.

 

Dove siete, Fratelli? Alcuni erano anziani già allora, come il generale Emidio Tafeng, Pancrazio Ocheng, il grande Capo Lolik e Rahaman Sule.

Saranno ancora in vita, oppure morti in battaglia, o di malattia, o di fame, Manasse Atot e Dican O. Olweny, a cui devo la vita?

E che fine hanno fatto Job Adier de Jok, Agolong Chol Agolong, Elia Duang, Lawrence Wol Wol, Peter Rusumu, Antonio Bakir, Samuel Abujohn, Stephen Ciec Lam, David Koak Guok, Penero Bakura, Paul Ali Gbatalla, David Dada, Ali Ayume, Frederick B. Maggot, Habakuk Soro, Sunday Gideon, Peter Yugusuk Cavilla, James Loro, Serafino Wani, Elaba L. Surur?

Sarà in vita Mordecai Gboso Belli, infermiere della zona Zande, ove sarei dovuto andare? Nelle foto era vestito di stracci, ma capace di operare appendiciti, ricucire ferite ed estrarre pallottole. Mi inviava gli elenchi dei medicinali richiesti scritti a mano,  tenendo uniti i fogli con uno spino della foresta.

E Alison Magaya, il cugino di Judy? E, Angelo Voga, Adelino Fuli, Arcangelo Wanji, Angelo Makur, Angelo Adam, Gordon Mayen?

Elia Lupe, mi starà ancora aspettando ad Aru, in Congo?…

Sarà rimasto qualcuno in vita dei giovanissimi guerriglieri incontrati al “magazzino” e ad Adodi?

Dove saranno i bimbi di Adodi dopo quaranta anni? Il villaggio di Adodi esiste ancora?

Vorrei incontrarvi ancora, Fratelli cenciosi e denutriti, almeno nei piani più sottili, laddove le basse pulsioni di questo pianeta sono lentamente eliminate (Foto 145146 – diapositive di guerriglieri di Adodi, deturpate dalle muffe tropicali). Ho, però, sempre il dubbio che la mia Conoscenza  e le mie esperienze nei piani più sottili siano solo una illusione della mente.

E se non mi “risvegliassi” più?

Spero sempre che, dopo aver attraversato il “velo”, il “muro d’ombra”, possa incontrare di nuovo i miei parenti, le persone care, i miei amici che mi hanno preceduto…

E incontrare di nuovo mio wana Ferdinando, che mi direbbe: “Stupido uomo, ci credi ora?”.

Giorgio Rapanelli

 

 

   Se qualcosa rimarrà nel futuro delle notizie che fornisco lo dobbiamo anche all’amicizia ed allo spirito di solidarietà – e pure alla fiducia nella mia onestà – da parte di un caro amico fisioterapista di Treia, il prof. Daniele Roccetti, senza il cui aiuto competente e la sua ospitalità nel suo sito “Treiaonline” questo scritto, così ricco di testimonianze fotografiche, probabilmente non avrebbe visto la luce. Il prof. Roccetti è stato recentemente in Madagascar ad operare e ad addestrare con la sua scienza fisioterapica elementi locali che poi praticheranno fisioterapia alle loro popolazioni.

   Sto pure terminando il montaggio, aiutato da mio figlio Ermanno, delle poche “pizze” girate nel mio breve viaggio. In tutto sono soli 35 minuti di documentario, trasportato in DVD. Una piccola testimonianza ed un ricordo indelebile dei volti dei bambini, delle mamme e dei coraggiosi  guerriglieri senza nome che hanno fatto parte della “resistenza” del Sud Sudan.